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Il tartufo bianco: potente, ingannatore, intenso

È così potente il profumo del tartufo che fa sembrare sontuoso, ingannando, qualsiasi piatto: per questo Molière ha chiamato l’impostore, protagonista di una sua famosa commedia, “Tartufo”. Specie se ci riferiamo al “diamante” della cucina – il tartufo bianco – il suo odore è così forte e inebriante che non ammette mezze misure: si detesta o si ama alla follia. Emana note di sottobosco, di fieno e di terra bagnata ma, soprattutto, un leggero sentore di aglio e di gas. Sensazioni forti, che hanno un costo conseguente: si va da una quotazione minima di cinquecento a una media di tremila, fino a settemila euro al chilo, a seconda delle pezzature. A fare il prezzo sono (anche) la rarità e la difficoltà della ricerca: per la cerca servono esperienza, un cane bene addestrato, conoscenza dei luoghi. Soprattutto, servono particolari condizioni ambientali e climatiche perché questo fungo, che inganna persino nell’aspetto e nel nome (sembra una patata, è definito scientificamente “tuber”), possa svilupparsi. In Toscana il “miracolo” della formazione del tartufo bianco avviene nei territori di San Miniato (Pisa), nelle Crete senesi, nel Mugello (a nord di Firenze), in Val Tiberina e nel Casentino (Arezzo). Ma il tartufo, se ci limitiamo alle tipologie meno pregiate, si trova tutto l’anno e un po’ ovunque: oltre alle aree del “bianco”: il litorale maremmano è vocato per il marzuolo, che si sviluppa tra fine inverno e inizio primavera. Ci sono, poi, il nero pregiato (in inverno), lo scorzone e l’uncinato (in estate e autunno). Dal 2021, “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali” sono state riconosciute Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità dall’Unesco.

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