La tovaglia bianca è una presenza costante, nelle rarissime scene di banchetto dei dipinti medievali. Lo dimostra la predella dedicata alle nozze di Cana di Duccio da Buoninsegna, a corredo della Maestà realizzata per la Cattedrale di Siena, ora all’Opera del Duomo. Dunque, niente tavolacci e bicchieri di terracotta, come verrebbe da immaginare, ma candide stoffe e bicchieri di vetro. Il motivo è semplice: il banco era il colore della purezza, e si pensava che questo colore giovasse all’assunzione dei cibi (specie ad inizio pasto); tant’è che con il nome “biancomangiare” si indicavano ricette a base di pollo, pesce e riso, mandorle e latte. Non a caso, ancora oggi si giudica come salutare il “mangiare in bianco”.
Tornando alla tovaglia del dipinto, si notano i caratteristici fregi a contrasto (bianco e nero sono i colori di Siena) e una particolare lavorazione che forma una decorazione a rombi, tono su tono, in leggero rilievo: quella che oggi è conosciuta come “tela di Pienza”. Non che ci siano particolari manifatture nella città di Pio II; piuttosto, si può parlare di una tradizione diffusa: stoffe di disegno raffinato, come anche lavorazioni in lino, seta e lana resero famosa Lucca a partire dal Duecento e, specie nel Rinascimento, Firenze. Nel Settecento c’erano cinquanta telai solo a Siena, ma ben presto la meccanizzazione trasformò il settore, tant’è che ai primi del Novecento i telai manuali erano scomparsi.
Oggi si sta riscoprendo l’antica manualità per prodotti (e clienti) di nicchia, accanto alle aziende con telai semi meccanici e all’industria del tessile (con Prato come riferimento). Il ricamo è un’altra tradizione che, nel Quattrocento, era affidata agli uomini (nel Senese a vedove e ragazze madri). Nelle città d’arte toscane sarà facile trovare almeno un negozio con stoffe e tovaglie artigianali.