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I vinaccioli etruschi e l’archeologia del vino

Nel territorio di Gaiole in Chianti (Siena) sono stati rinvenuti, di recente, circa quattromilacinquecento vinaccioli del 300 avanti Cristo, in due pozzi nell’area archeologica di Cetamura: un ambiente umido che li ha incredibilmente conservati. Gli studi, ancora in corso, hanno come punto di arrivo la ricostruzione del codice genetico, fino a produrre un vino “etrusco”. Tra i vinaccioli è stata riscontrata anche dell’uva bianca, peraltro già inserita nel primo disciplinare del barone Ricasoli (1872). I chicchi, esposti nella mostra Cetamura 50. Materiali, persone, ricordi (celebra l’anniversario della scoperta, fino al 15 settembre al museo civico Alle origini del Chianti), ci ricordano quanto antica sia la produzione vitivinicola nell’area. Il ritrovamento si aggiunge a quello, di pochi mesi or sono, delle statue votive e altri straordinari reperti nell’antica area termale di San Casciano dei Bagni (ancora nel Senese), subito oggetto di una mostra alle Scuderie del Quirinale, a Roma. Intanto l’Università di Siena lavora al progetto Vinum: botanici, biologi molecolari e archeologi hanno riscontrato differenze genetiche tra le viti selvatiche campionate in prossimità dei siti archeologici e quelle più lontane. Un’altra area a forte produzione (equivalente al Chianti attuale) è stata rinvenuta a Scansano, come confermano la documentazione archeologica, le fornaci di anfore e i relitti di navi onerarie provenienti dall’area. Qui, da viti selvatiche, si è iniziato a produrre vino. A Siena sono stati recuperati antichi vitigni a rischio di estinzione (altro progetto universitario, Senarum Vinea): spalliere e alberate di derivazione etrusca, con i sostegni di aceri a sviluppo orizzontale per l’appoggio dei tralci, tra conventi e orti urbani. Manco a dirlo,   è stato prodotto un vino con le uve riscoperte.

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